Cellulari in classe, insegnanti esasperati e giudizi irriverenti

È di questi giorni la notizia che un dirigente scolastico di Padova ha vietato l’uso dei cellulari in classe.

Tale decisione – che per altro una decisione non è poiché esiste una normativa sull’uso degli smartphone in classe (la 104) che risale al 2007 nella quale si afferma: «(…) di non utilizzare il telefono cellulare, o altri dispositivi elettronici, durante lo svolgimento delle attività̀ didattiche…» ha suscitato una variegata serie di commenti.

Mi permetto una riflessione: l'educazione è qualcosa con cui un bambino non nasce e se non le viene insegnata, più con gli esempi che con le parole, difficilmente l'apprenderà.
Se da un lato è vero che le adolescenze e i loro conflitti «mutano» a seconda dei contesti storici e sociali, ci sono tuttavia elementi che la caratterizzano senza cambiare un dato di fatto importante: l'adolescenza è l'età dei conflitti.

Si ha spesso, anche se non tutti e non sempre lo fanno, la tendenza a giudicare quello che non comprendiamo o che sentiamo non controllabile cosicché l'aggressività, la trasgressività, l'irruenza, l'opposizione, la disobbedienza e la provocazione dei giovani, anziché essere vista come una modalità usata per capire la propria identità, viene messa al bando, valutata e spesso condannata.

Ma l'adolescente di oggi, non è tanto diverso dall'adolescente di ieri.

Una crescita senza conflitti, non sarebbe una crescita, così come nelle famiglie in cui non si discute mai e tutto va sempre bene, non significa che non esistano motivi di attrito, ma solamente che quel nucleo famigliare, non è in grado di riconoscere e gestire il conflitto e allora preferisce annullarlo, farsi andare bene tutto, pur di mantenere un equilibrio fittizio che non può permettersi di perdere.

Un tempo la ricerca della propria identità passava anche attraverso l'osservazione delle immagini famigliari, sfogliando vecchi album accanto a genitori disponibili a spiegare chi fossero le persone immortalate su fotografie ingiallite. I volti, gli sfondi, gli oggetti, aiutavano a intrecciare le ricerche sulla storia famigliare portando alla luce miti, credenze, segreti del passato.
Oggi l'identità degli adolescenti passa prevalentemente attraverso le immagini che mamme, padri, zii e amici postano sulle bacheche dei social network.
Se si rompe un computer, una chiavetta, un telefono, le immagini possono andare perse e scomparire. I cellulari sostituiscono gli album di famiglia, le lettere scritte agli amici e anche le parole dette ai genitori.

WhatsApp varca confini che dovrebbero essere rispettati, dove le madri chiedono ad altri madri di fotografare le pagine di storia da studiare e poi magari, rimproverano i figli, di non essere stati attenti.

Leggere ciò che viene scritto su alcuni gruppi di classe (sempre su WhatsApp fa rabbrividire).
Così il messaggio inviato al bambino, al preadolescente e all'adolescente è quello del: tutto passa attraverso un cellulare. Lo studio, la relazione, la fotografia. Non esistono sguardi che si incrociano, mani che si sfiorano, conflitti che devono trovare soluzioni.

Una volta per parlare con i compagni di scuola, facevamo viaggiare bigliettini sotto il banco. Contenevano di tutto, dagli appuntamenti, alle soluzioni dei compiti in classe.
Gli insegnanti a volte chiudevano un occhio, altre volte ci bloccavano, qualche volta ci punivano. Ma non mi risulta che qualche dirigente lo abbia annunciato al mondo.

I rapporti con le famiglie sono più complicati di un tempo?
Sicuramente ma non è un problema dei minori.

Non mi sento di dire che sono gli adolescenti ad essere «sbagliati» ma solo che hanno imparato da ciò che noi abbiamo loro mostrato, mancato riconoscimento delle regole comprese.