Giudizio e rifiuto: paure che condizionano la vita.
La scelta tra vivere confrontandoci con gli altri oppure chiudersi in noi stessi spesso è condizionata da preoccupazioni che assottigliano lo spazio relazionale, esiliandoci ad osservare ciò che non riusciamo a vivere.
Gli eventi di questo ultimo anno, «spogliati» dalla paura di essere vittime del covid, mostrano quanto l’essere legittimati a interrompere la vita sociale, sia divenuta per alcuni un alibi rassicurante, una maschera appropriata per spiegare il proprio bisogno di isolarsi.
In realtà, pur comprendendo che ci sono tratti caratteriali capaci di predisporre le persone interagire meno con, vivere «da soli» molte volte rappresenta più una fuga che una scelta.
Abbiamo bisogno di essere parte di qualcosa. Di una famiglia, di una coppia, di un gruppo che condivide passioni o obiettivi e semplicemente di amici che amano incontrarsi, parlarsi.
Non farne parte aumenta la percezione di solitudine. Non essere accolti, accettati dell'altro o dagli altri, spaventa, ferisce, rende più fragili.
Senza riconoscimenti esterni l'autostima vacilla, il bisogno di legame aumenta, i tentativi per ottenerlo, se falliscono, ci gettano in un cerchio entro il quale accettare, comprendere il «rifiuto» dell'altro diviene difficile, a volte impossibile al punto di decidere di non averne bisogno. Di poter vivere solo con sé stessi.
In realtà non tutte le volte che ci sentiamo rifiutati lo siamo stati realmente.
Ancora una volta, quello che condiziona la percezione di certi eventi è l'esperienza passata: come abbiamo vissuto alcune esperienze, cosa, da bambini ci ha fatto sentire non apprezzati, non utili, non amati.
Il rifiuto che percepiamo è legato il giudizio.
Il giudizio negativo genera, o almeno alcuni di noi lo pensano, il rifiuto.
Non essere accettati significa non sentirsi amati.
Non sentirsi amati significa non sentirsi accolti nella richiesta del soddisfacimento di uno dei bisogni fondamentali dell'uomo.
Un modo per interrompere la reiterazione di pensieri e comportamenti rafforzanti la percezione del rifiuto e l'incapacità di gestirne le conseguenze, è esplorare, consapevolizzandole le situazioni in cui, per esempio, il pensiero dell'altro diventa inevitabilmente giudizio.
Oppure provare a descrivere cosa accade in noi quando, di fronte alla competizione, in ambiente lavorativo o meno, l'opinione che gli altri si fanno di noi ci spinge a sopravvalutare i giudizi negativi e sottovalutare quelli positivi negandoci la possibilità di riconoscere risorse e talenti.
Inoltre è importante tenere presente che il timore del giudizio-rifiuto, quando pervasivo e persistente annulla la capacità di riconoscere, negli altri, emozioni simili alle nostre, avvolgendoci in una spirale di solitudine che esiste solo nel nostro vissuto interiore.
Ma il rischio maggiore sta nella possibilità che, per evitare il giudizio, si rinunci a quelle occasioni ed opportunità relazionali, lavorative, amicali che ci permetterebbero di vivere esperienze nuove, utili e appaganti.