La fatica di parlare con chi pensa di avere sempre ragione.

Il mondo abbonda di persone convinte nel profondo che l'unica verità sia quella che esce dalle loro labbra.

Se ci troviamo nelle condizioni di dosare il confronto con loro, probabilmente troveremo tempi e modi per «digerire» le conseguenze che questo tipo di relazioni possono creare oppure eluderlo.

Immaginiamo però che, per ragioni di lavoro o famigliari, evitare di farlo sia qualcosa di inutilizzabile, in quel caso trovare un modo per gestire la frustrazione è sicuramente un bisogno da soddisfare.

Un aiuto nella relazione con loro potrebbe essere quello di comprendere cosa nasconda la loro ostentata, spocchiosa saccenza.

Spesso sono persone in realtà profondamente insicure che incontrano notevoli difficoltà nell'ascoltare l'altro, che a loro volta sono state poco ascoltate.

Alcuni autori attribuiscono questa difficoltà alla scarsa intelligenza emotiva, la quale consente o facilita l'uso di una comunicazione efficace ma soprattutto appropriata.

Chi è convinto di avere sempre ragione, oltre ad attribuirsi qualità ininfluenti al fine della relazione, usa parole e comportamenti non verbali le cui finalità sono quelle di umiliare, sminuire, svalutare, nel tentativo di mantenere un controllo (per altro già perduto) e meglio gestire l'ansia, le paure, le insicurezze riguardo a sé, alla proprie competenze e non doversi prendere carico delle propri scomode posizioni esistenziali.

Eric Berne, psicologo canadese autore dell'analisi transazionale, vede nella posizione Io sono Ok, tu non sei Ok, una modalità relazionale che, se persistente, potrebbe essere disfunzionale e pregiudicare il rapporto con l'altro.

Volere a tutti i costi etichettare qualcuno come sbagliato o perdente, preclude la possibilità di relazioni grafitanti basate sul riconoscimento dei valori altrui, sulla tolleranza e il rispetto.

Nel concreto avere una comunicazione con chi non ammetterebbe mai di essere in torto richiede pazienza, molta calma e la capacità di usare la rabbia che potrebbe scaturire, come risorsa e non come vincolo.

Considerare l'oggetto della discussione, può essere utile. Chi crede di avere sempre ragione riesce a discutere e a incastrare il suo interlocutore in discussioni spesso prive di senso.

La prima cosa da chiedersi allora è: ne vale la pena? 

E' veramente importante per me impelagarmi in una discussione alla fine della quale tutto resterà come sempre (pena di morte, l'età pensionabile, l'immigrazione ...) salvo la mia irritazione?

Se la diatriba coinvolge noi e qualcuno con cui non siamo obbligati a confrontarci, potrebbe essere utile togliersi dalla situazione con garbo, lasciando l'altra o l'altro soli.

Se invece pensiamo che ne valga la pena e l'argomento di discussione è qualcosa di più concreto, un mezzo utile è dato dall'uso di un linguaggio che contenga l'altro.

Queste persone, nel tentativo di sminuire l'interlocutore useranno parole o verbi che rafforzano la visione che hanno di sé. Ignoriamole! Diamo invece valore al contenuto sottovalutando la forma.

Cerchiamo di avere bene in mente quello che vogliamo dire e come lo vogliamo fare. Non lasciamoci trascinare nel vortice del discutere tanto per farlo, sono abilissimi in questo, come sono abili a cercare di avere sempre l'ultima parola. Lasciamogliela.

Consapevoli che la loro più grande difficoltà è l'incapacità di uscire dai propri schemi mentali e che, come disse G. Wolinski un fumettista francese: «Quando si è sicuri di aver ragione non c'è bisogno di discutere con quelli che hanno torto.»