Le comunicazioni che feriscono, incrinano i rapporti, lasciano cicatrici.

Da adulti siamo molto attenti alle parole dette dai bambini e dagli adolescenti. Interveniamo sulle loro esternazioni rabbiose, esigiamo che usino aggettivi pacati per descrivere emozioni e disagi anche intensi, e attendiamo la nostra maggiore età emotiva per riappropriarci di quello che ci è stato negato, per esternare sentimenti e considerazioni in modo più consono alle sensazioni del momento. 

Se le comunicazioni sono essenziali al fine di creare, consolidare o distaccarsi dalle relazioni (in qualunque ambito) la scelta delle parole esatte ne determina in modo esplicito le loro finalità, funzioni, sopravvivenza.

Poiché da adulti non c’è nessuno che vigila sulla scelta degli aggettivi o dei verbi che usiamo, se non la nostra personale attitudine alla relazione e alla capacità di usarla in modo efficace e funzionale alle situazioni, la maggior parte delle problematiche tra gli uomini e le donne nasce e si consolida proprio da frasi dette con intenzioni chiare, espresse in modo «disturbante» o mal accolto. 

In realtà sembrerebbe che non tutti quelli con cui entriamo in relazione abbiamo la capacità di provocare rabbia, delusione o dolore attraverso le parole. 

È un potere che assegniamo a chi consideriamo «importante», di cui abbiamo stima ma anche a chi ha una inconsapevole capacità di riattivare vecchie ferite, perché ci ricorda qualcuno che in passato, magari quando non eravamo capaci (per età) o nella posizione (un educatore o un capo) di opporsi e difenderci. 

In pratica risentiamo delle critiche e dei giudizi solamente quando a pronunciarli sono persone che direttamente o indirettamente riteniamo «superiori a noi», importanti, legittimati a giudicarci. 

Watzlavick, psicologo che si occupò della Comunicazione e dei suoi effetti, formulò a tal proposito la teoria della «disconferma» che indaga e spiega come mai le parole dette da alcune persone hanno un potere maggiore rispetto alle stesse ma pronunciate da altre. 

Individuò nel potere destabilizzante delle comunicazioni la presenza di tre fattori:

  1. la svalutazione: quando si usano termini che volutamente svalutano l’altro o attraverso il non riconoscimento del lavoro fatto o non ritenendo importante quanto viene detto;
  2. la squalificazione: più sottile ma anche «pericolosa» perché l’obiettivo è la trasformazione di colui o colei con cui si sta parlando in una persona inutile. È una modalità di comunicazione esplicitata attraverso frasi come: Ciò che fai non è importante! Non sei utile a nessuno! Ciò che fai non sarai mai apprezzato!
  3. la disconferma: la peggiore forma di comunicazione che poco ha a che fare con il desiderio di comunicare ed è invece sostenuta da dinamiche interne, spesso inconsapevoli o difficili da accettare. Chi la usa ignora l’altro. Non ne riconosce non solo il valore, ma anche l’esistenza.
 Come difendersi da queste situazioni?

Ci sono di diverse possibilità, nessuna facile, immediata, priva di fatica. 

Il primo passo è spostare l’attenzione da chi ci ferisce a noi chiedendoci: perché quelle parole, quella voce, quell’atteggiamento mi fanno stare così male? 

Il secondo è riconoscere che quanto ci ferisce spesso contiene un fondo di verità. E allora potrebbe servire il chiedersi: c’è qualcosa di vero in quello che sta dicendo? Su dieci critiche mosse è possibile che almeno una sia corretta? Spostando l’attenzione dal generale al particolare perché è altamente probabile che a irritarci non siano tanto le affermazioni non vere ma quelle che ci risuonano dentro. 

Il terzo è ricordare che le persone hanno il potere di metterci in difficoltà solamente se siamo noi a permetterlo.

Non possiamo investire l’altro della responsabilità di non farlo. La comunicazione è una relazione a tutti gli effetti.

Posso rispettare e pretendere di essere rispettato (mi sarà ragionevolmente facile chiederlo e ottenerlo).

Posso non rispettare e pretendere rispetto.

Posso rispettare e non essere capace di chiedere rispetto. 

La comunicazione è fatta di contenuti, relazioni (i sentimenti che suscita), e contatta le nostre identità. Occorre conoscerci a fondo per entrare a fondo nella relazione con l’altro.