Madri che «mangiano troppo».

Diventare madri è un evento che cambia la vita.

Un cambiamento in realtà iniziato nel momento in cui si è deciso di farlo sia che si tratti di una maternità raggiunta attraverso i mesi di gestazione o attraverso i mesi che separano da un'adozione.

Una volta accaduto tutte le dinamiche relazionali cambiano: quelle di coppia, quelle amicale, quelle con la famiglia di origine, quelle verso noi stesse.

Nel caso di una famiglia classica è la coppia a subire il primo «cambiamento».

Si creano nuovi equilibri, si ristabiliscono regole e priorità, ci si trasforma da coniugi a genitori.

La presenza di un partner capace di comprendere quanti e quali sentimenti, emozioni e paure coinvolgono la donna-madre è un importante, tuttavia spesso, è proprio in lei che sorgono le preoccupazioni di inadeguatezza e le sensazioni di solitudine.

Un neonato o un bambino che ci viene affidato mette in modo riflessioni e considerazioni inaspettate.

Ci si rivede figli, si rivalutano i vissuti, si fanno confronti con i genitori, tra i genitori che abbiamo avuto e quelli che speriamo di essere.

Bowlby psicanalista e psicoterapeuta inglese che introdusse la Teoria dell'Attaccamento, spiegò, grazie agli studi clinici di altri collaboratori, che le mamme che hanno avuto madri incapaci di prendersi cura di loro, possono mostrare maggiori difficoltà e incertezze nella relazione con i propri figli.

La percezione o convinzione di non essere all'altezza delle aspettative personali e sociali (anche in questo caso il contesto extrafamigliare è costantemente pronto a puntare il dito sull'inadeguatezza dell'educazione genitoriale) può diventare un fattore di crisi, uno dei tanti.

Si passa così dall'accudimento quotidiano (neonato o bambino piccolo) al confronto con altre madri (periodo scolastico) al terremoto dell'adolescenza e alla sindrome di nido vuoto (figli-adulti che abbandonano la casa per costruire una nuova famiglia oppure semplicemente andare a vivere da soli) a quel periodo in cui ci si chiede: qual è il mio ruolo adesso?

Ogni periodo può diventare un momento di crisi e le mamme, per mitigare le emozioni, le delusioni, le paure e le solitudini a volte mangiano.

Non è la fame fisiologica a innescare il bisogno di cibo, ma l'impotenza, la sensazione di non aver il controllo su ciò che accade, di non poter «cambiare» quello che non ci serve, non vorremmo.

Nei momenti in cui il dialogo, il confronto o il conflitto potrebbero essere strumenti di soluzione, preferiamo ritirarci in un angolo emotivamente protetto e per consolarci ci affidiamo a un cioccolatino, a un biscotto, a un gelato o una pizzetta.

Li usiamo come sintomatici a qualcosa che non va, non funziona, non è come avremmo voluto che fosse.

Con il dolce o il salato, allontaniamo emozioni «pericolose» che ci fanno soffrire, scomode, incontrollabili poiché sappiamo che un'altra soluzione potrebbe essere affrontare il tutto: la paura di non essere brave madri, la reazione di compagno o della compagna che non comprendono il nostro disagio, il rimprovero o il giudizio di conoscenti e a volte anche famigliari, l'abbandono.

A volte farsi andare bene le cose, ad ogni costo, è solamente un comportamento che ci mette al sicuro da non essere «nuovamente» lasciate sole con i nostri fantasmi del passato.