Quel disperato bisogno di essere felici.

La felicità è uno stato mentale che, contrariamente alla paura, alla tristezza, alla gioia, al disprezzo, al disgusto, alla sorpresa e alla rabbia, non fa parte delle emozioni innate. 

Etimologicamente deriva dal latino (felicitas) il cui significato letterale è: fortuna, successo, prosperità, buon esito, contentezza, beatitudine (da Castiglione-Mariotti), in pratica: uno stato d'animo che soddisfa, se non tutti, la maggior parte dei propri sogni, per i più romantici, e delle proprie aspettative per i più razionali.   

Poiché senza le emozioni faticheremmo a trovare stimoli e obiettivi per vivere pienamente le nostre giornate, siamo alla ricerca di quelle sensazioni e di quei stati d'animo che percepiamo come positivi, che ci fanno sentire «bene», che confermano la nostra capacità relazionale e che ci danno sicurezza emotiva.

La felicità, e la conseguente sensazione di benessere che proviamo nel percepirla, hanno importanti conseguenze fisiologiche e cognitive che a loro volta si ripercuotono sul nostro modo di sentirci e di sentire ciò che ci circonda. 

Ricerche sulle emozioni hanno dimostrato che con il passare del tempo (invecchiando) si privilegiano quelle positive rispetto a quelle negative. 

Altri studi hanno dimostrato come non siano la bellezza, la fisicità, il successo e la tranquillità economica a garantire uno stato d'animo ottimale, mentre il piacersi, il credere nelle proprie capacità, le relazioni equilibrate sembrerebbero essere prerequisiti fondamentali per essere felici.

 Uno stato emotivo positivo, inoltre aiuta a pensare e a vedere il futuro in termini positivi (profezia che si auto-avvera) purché il tutto sia sempre equilibrato e non venga sottovalutato il potenziale rischio di compiere scelte imprudenti. 

Ma felici si impara ad esserlo oppure è ciò che ci succede a fare di noi delle persone soddisfatte, appagate e contente? 

Personalmente credo di no. O meglio credo che leggere cosa e come fare per stare meglio con se stessi e con gli altri abbia un senso solo se vi sia in atto, in chi legge, una profonda convinzione a modificare un comportamento sentito come inefficace e dannoso.

Il circondarsi di persone «positive» potrebbe aiutare. 

Eliminare dalla cerchia delle proprie frequentazioni chi non può fare altro che giudicare, criticare, profetizzare sciagure, anche. 

Modificare il nostro modo di comunicare (valorizzando ciò che siamo, ciò che abbiamo e ciò che ci rende sereni invece che puntare l'attenzione su quello che ci manca e non riusciamo a raggiungere) aiuterebbe a cambiare una prospettiva che ci è familiare, così come ci sarebbe di aiuto accontentarsi delle piccole cose e progettare obiettivi perseguibili, vivendo sconfitte, rallentamenti e delusioni come aspetti naturali di ogni percorso sia emotivo che professionale.

Riconoscere l'imperfezione e accettarla, ci farebbe «vedere» la felicità nelle piccole cose, magari ricordando che la felicità assoluta potrebbe rivelarsi una noia mortale.