Soli o in compagnia?

Lo abbiamo sperimentato tutti quel desiderio incontrollabile di «uscire dal gruppo», restare soli, per pensare, fuggire, ritrovarsi.

Alla base del bisogno ci sono diverse situazioni:

  • staccare la spina da un lavoro che ci opprime o ci delude,
  • chiudere i libri da studiare per superare un corso che troviamo frustrante,
  • mettere a tacere quelle voci giudicanti e opprimenti dei genitori, degli insegnanti, dei compagni, delle compagne, del capo ufficio, dei colleghi, perfino di chi amiamo

Pur essendo esseri sociali, stare per un po' soli con noi stessi, è un bisogno a cui pochi sanno rinunciare.

Per alcuni tuttavia, abolire il rumore delle relazioni, e ritagliarsi spazi in cui porsi al centro dei propri pensieri, può essere difficile. 

Ciò che non significa che siano persone che stanno mai bene in mezzo agli altri, ma che il ruolo che si sono assegnati sul lavoro o in famiglia, passa anche attraverso la convinzione che senza di loro gli altri, starebbero male o, peggio, non potrebbero vivere.

Incapaci quindi di stare in silenzio, ascoltare quello che nasce da dentro, sopportare il senso di colpa che scaturirebbe dall'«abbandonare» l'altro, si condannano a una solitudine in mezzo alla folla.

Staccarsi dagli altri e dare spazio a noi stessi, non solo è possibile, ma anche corretto e necessario per vedere e cogliere energie e risorse utili a superare momenti di crisi, dubbi, o anche solo per allontanarci da chi non ha nulla, o più nulla, da dirci o da darci.

Ci sono tuttavia solitudini che poco hanno a che vedere con il desiderio di riprendere fiato. Sono quelle in cui, allontanarsi dalle relazioni non è qualcosa di speciale, ma il quotidiano.

Le chiusure sociali, quando nascondono sentimenti di inadeguatezza, incapacità di accettare le critiche e il confronto, non sono pause rilassanti, ma esacerbazioni di comportamenti che non aiutano a trovare un senso alla propria solitudine.