Solitudini «obbligate».

Nessuno vive bene da solo. Salvo gli eremiti che per scelta e non per costrizione, prediligono il rapporto con sé stessi e affidano quello con gli altri ad un'altra dimensione.

La maggior parte di noi invece ha bisogno di sentirsi ed essere parte di qualcosa: di una famiglia, di una relazione, di un gruppo, sia esso di lavoro o di amici.

Non esserlo aumenta la percezione di solitudine.

Il rifiuto degli altri spaventa, ferisce, rende più fragili.

Senza riconoscimenti esterni però l'autostima vacilla, il bisogno di legame aumenta, i tentativi per ottenerlo, se falliscono, ci gettano in una condizione emotiva in cui accettare o comprendere il «rifiuto» dell'altro diviene impossibile.

In realtà non tutte le volte che ci sentiamo rifiutati lo siamo stati realmente. Quello che condiziona la percezione di alcuni eventi è l'esperienza passata.

Il rifiuto è legato il giudizio.

Un giudizio negativo, secondo alcuni, genera il rifiuto.

Non essere accettati dunque, equivale al non sentirsi amati.

E non meritare amore significa non essere accolti nella richiesta del soddisfacimento di uno dei bisogni fondamentali dell'uomo.

Per interrompere la reiterazione di pensieri e comportamenti rafforzanti la percezione del rifiuto e l'incapacità di gestirne le conseguenze, è utile esplorare, consapevolizzare e riconoscere quelle situazioni in cui:

  • il pensiero dell'altro diventa inevitabilmente giudizio
  • tendiamo a sopravvalutare i giudizi negativi e sottovalutare quelli positivi 
  • siamo in difficoltà nel riconoscerci risorse e talenti
  • per timore di essere giudicati rinunciamo alla possibilità di metterci in gioco sia sul piano lavorativo che affettivo.