Un tempo li chiamavano «capricci».
Negli anni '50 girava una canzone, cantata da Claudio Villa, dal titolo «Balocchi e profumi.» Erano gli anni in cui far sentire una donna in colpa per la maggior parte delle cose che faceva o per le decisioni che prendeva, andava di moda.
Nello specifico, l'autore del testo aveva puntato il dito contro una madre che spendeva soldi dietro ai profumi e ignorava le richieste della figlia (che ovviamente moriva) di avere almeno un balocco.
Non sono del tutto sicura che il contesto sociale abbia smesso di far sentire le madri colpevoli delle loro scelte, tuttavia il rapporto con il bambino e il giocattolo non è cambiato e ci sono richieste spesso giornaliere, che non sempre (per filosofia di vita, scopo educativo o altro) possono essere soddisfatte.
Per alcuni questi comportamenti infantili, sono addirittura espressione di impertinenza e maleducazione da parte del minore, incapace di accontentarsi di ciò che ha e di sfruttare il gioco in tutte le sue potenzialità.
È indubbio che ci siano bambini che sembrano non apprezzare ciò che hanno o che si dimostrano irriverenti e non riconoscenti davanti a un regalo.
Il rapporto tra il bambino e il giocattolo è un rapporto delicato e importante.
Una relazione da persona e oggetto che assume lo stesso significato di lavoro per l'adulto.
Giocare, vuol dire comprendere, capire, creare una relazione, stabilire capacità e difficoltà, trovare soluzioni al «problema».
È una modalità per comprendere sé stesso il ciò che lo circonda, sostituendo le parti concrete del mondo che ha attorno, con altre fantastiche, capaci di lenire noia, paura, solitudine.
Come ogni strumento con cui entriamo in relazione, ci possiamo affezionare a tal punto da non riuscire a rinunciare a lui, oppure stancare fino a non volerlo più avere attorno.
Succede anche per i giocattoli.
Così, come a noi adulti capita di farci conquistare da un paio di scarpe grazioso, salvo poi trovarlo pacchiano e confinarlo in una scatola in cantina, ai piccoli capita di volere un giocattolo e dopo qualche minuto, dimenticarsi di lui.
La differenza è che nessuno ci giudica: incontentabili, cattivi, pretenziosi o altro, mentre il giudizio verso un minore che manifesta, nella modalità in cui è capace, la delusione, può essere duro e scatenare addirittura una punizione.
Immaginiamo Natale, oppure il nostro compleanno e immaginiamo di avere delle aspettative riguardo ai regali che potremmo ricevere.
Siamo persone a cui basta il pensiero, tuttavia quando Tizio o Tizia arrivano con un bel pacco, confezionato con eleganza e lo scartiamo, se siamo persone che odiano lavorare a maglia, oppure non lo hanno mai fatto in vita loro e non hanno alcuna intenzione di incominciare a farlo, non esulteremo dentro di noi, per quel gomitolo e quei ferri che ci osservano da una scatola molto bella.
Essendo però, persone educate, sorrideremo, ringrazieremo, in qualche caso mostreremo con il non verbale di non aver del tutto apprezzato il pensiero, ma difficilmente richiuderemo la scatola depositandola subito in cantina.
I bambini, non reagiscono in questo modo e se ricevono un oggetto che a loro non piace, non saranno spontaneamente interessati a compiacere chi hanno davanti ma anche davanti a un giocolatolo, proprio come a un gomitolo di lana, si può provare delusione, solo che i bambini piccoli, non hanno ancora acquisito la capacità di decodificare e comprendere l'emozione che stanno provando.
Spingerli a negarla, significa non aiutarli a capire quello che sentono dentro.
Al di fuori da situazioni che andrebbero valutate da professionisti (disturbi dell'attenzione ed altro) la richiesta di giochi nuovi, non può essere letta come l'incapacità di accontentarsi di ciò che ha o l'egoismo di voler avere «tanto».
Restano tuttavia le reazioni classificate come «capricci» davanti al rifiuto genitoriale di acquistare quel bell'aereo sullo scaffale del supermercato, e l'aspetto educativo dell'essere genitori che può passare attraverso la contrattualizzazione della richiesta.
Si può decidere di comperare un gioco al giorno, alla settimana, al mese, all'anno, spiegando le ragioni di quella decisione e aiutando il bambino a capirle, magari trovando prima un punto di unione con il partner: è terribile per un bambino sentire i genitori che discutono sull'opportunità o meno di comprare qualcosa per lui.
Questo non significa che non ci saranno più richieste, solo che si forniranno delle spiegazioni che a volte andranno ripetute, con parole o frasi diverse perché dire a un bambino di 3 anni: «Non puoi volere un gioco nuovo oggi perché te l'ho comprato ieri e avevo detto che te ne avrei comprato uno a settimana» non ha alcun senso, per lui, il suo ieri corrisponde ai nostri dieci anni prima.
Ma soprattutto una volta deciso, salvo rare e spiegate eccezioni, occorrerebbe essere coerenti e indifferenti ai giudizi esterni.
Essere arrabbiato è un diritto di ogni essere umano, bambini compresi, i quali possono anche manifestare la propria rabbia buttandosi a terra e urlando, ponendoci in una situazione di imbarazzo e giudizio.
Ignoriamo i commenti degli altri, riconosciamo la nostra difficoltà e non incolpiamo il bambino per le emozioni che NOI stiamo provando.
Lasciamogli il tempo di smaltire la sua rabbia, con gli strumenti che ha a disposizione e solo dopo, quando tutti saremo più calmi, potremmo tornare su quanto accaduto e trovare un modo per evitare che succeda di nuovo. I capricci sono spesso le uniche modalità che il bambino può usare per dirci: «non so cosa fare, non capisco quello che provo, sono in difficoltà.»