Vacanze «possibili» e «impossibili».
Tra le aspettative dell’estate vi sono le vacanze.
C’è chi le vive semplicemente come sospensione delle attività lavorative, chi come un’occasione per scoprire Paesi e città nuove, chi per tornare in quelle già frequentate.
Dopo un periodo di difficoltà emotiva come quella che la pandemia ha provocato, allontanarsi dalla routine o dai luoghi che hanno fatto da sfondo a stress e paura, può essere vista come una irrinunciabile occasione di ricarica oppure come un insormontabile ostacolo.
Che durino un giorno oppure trenta, che si trascorrano in montagna oppure sul divano di casa propria, ciò che le rende indispensabili le vacanze è il fisiologico bisogno di prendersi una sosta dal quotidiano, dalla routine.
Per alcuni tuttavia, anche questa possibilità può esprimersi attraverso sensazioni spiacevoli.
- C’è chi rimane «solo» mentre altri famigliari partono.
- Chi non riesce a «comprendere» la serenità o la felicità di chi conta i giorni per viverle.
- Chi teme la delusione.
- Chi non ne ha mai abbastanza di viaggiare, conoscere, fare nuove esperienze.
- Chi non riesce in alcun modo a interrompere il meccanismo «lavorativo» o le «consuetudini» e vive il periodo con ansia, trasformando una buona opportunità di riposo psichico e fisico in qualcosa che «va fatto» ma senza smettere di essere produttivi.
Alla base di tale difficoltà potrebbero esserci diverse ragioni:
- l’incapacità di «annoiarsi» vivendo il periodo di inattività come qualcosa di negativo, a cui dover porre rimedio
- la difficoltà a stare da soli con sé stessi, ascoltando le proprie emozioni e riflettendo su eventi, occasioni, difficoltà
- la convinzione che non sia giusto interrompere la propria disponibilità verso chi è abituato a trovarci sempre pronti a dare il massimo o verso delle richieste che potrebbero anche essere avanzate altrove
Per alcuni, inoltre, vi è il pensiero di non aver meritato il tempo che hanno davanti, perché mentre lavorano lo sottraggono ad altri e quindi vivono la vacanza come una doverosa necessità di compensare le proprie passate assenze.
Tutte «giustificazioni» che concorrono a falsare la percezione che abbiamo degli eventi e delle nostre capacità di gestirli.
Viviamo in un contesto sociale in cui la «relazione» con l'altro, seppur superficiale, spesso veicolata dai social, è dovuta, più che voluta.
La connessione continua con pensieri, giudizi, frasi, immagini riveste un ruolo fondamentale che ci porta a sviluppare una sorta di dipendenza con i messaggi, i post, i selfie, rendendoci incapaci di stare in silenzio, ascoltare quello che nasce dentro di noi e condannandoci, a volte, a una solitudine in mezzo alla folla.
Prendere la distanza dagli altri ci sembra scorretto, impossibile, ingiusto e allora rinunciamo al bisogno di cercare e trovare noi stessi per stare con chi non ha nulla da dirci per condividere informazioni fantasiose, infilarci in discussioni senza fine.
Tutto pur di non «dover» stare da soli.
Eppure riscoprire il proprio mondo interiore, entrare in contatto col nostro profondo, consentirebbe di cogliere e accogliere quelle parti di noi che sentiamo ostili e confortarci per i progetti falliti ricaricando la mente.
Staccarsi dal quotidiano, pur restando dove fisicamente siamo ogni giorno, ci solleva dalla sensazione di stanchezza fisica e mentale, dall'impressione che nulla di ciò che facciamo sia o vada come vorremmo che fosse o che andasse.
Saper dire no, non essere disponibili alle costanti, scontate e a volte inutili richieste dell'altro, vuol dire anche ritrovare e riscoprire nuove fermezze nel lavoro e nelle relazioni affettive.
«Andare in vacanza» allenta ansia e nervosismo, condendoci il tempo di ricaricarci di emozioni, riconoscere i bisogni, trasformali in progetti realizzabili.