Vite positive e vite negative: dal pessimismo esistenziale alla sindrome di Pollyanna .

Abbiamo un bisogno fisiologico di dare un senso a ciò che accade e poichè crescendo alimentiamo o facciamo nostre credenze che ci sono state insegnate, tendiamo a interpretare le situazioni secondo il nostro modello di vita, applicando giudizi, comprensioni e pregiudizi che ci rassicurano.

Inoltre il modo in cui noi interpretiamo ciò che accade e l'ambiente in cui ciò avviene, influenza il nostro modo di percepire e giudicare.

Secondo la psicologia sociale questo processo attivo e costante ha due motivazioni:

  • il bisogno di giustificare ciò che pensiamo e facciamo;
  • la necessità di essere accurati;

e visto che è impossibile avere conoscenza e competenza necessarie per conoscere e comprendere avvenimenti e comportamenti, prendiamo decisioni e giudichiamo anche se non abbiamo un quadro completo della situazione.

Un evento quindi si trasforma in un puzzle, con tessere mancanti che noi andiamo a sostituire con quelle parti che ci sono utili per comprendere ciò che stiamo vivendo.

Riassumendo: ognuno di noi ha un suo modo per spiegare quello che le o gli succede.

Per la Psicologia Positiva questo meccanismo (la tendenza a dare la stessa spiegazione per eventi differenti) si chiama Stile Esplicativo il quale, a seconda della connotazione emotiva che viene assunta, è divisibile in ottimista o pessimista.

Qualità, secondo Seligman autore della Teoria dell'Impotenza Appresa, non innate ma che possiamo acquisire.

A complicare la vita però c'è il fatto che ci bastano pochi eventi negativi per convincerci che nulla potrà mai andare bene.

Se un'idea è Permanente, Pervasiva e Personale, ci condiziona.

La conseguenza sarà il pessimismo, la radicata convinzione che non saremo mai in grado di uscire da una situazione pesante, negativa, disfunzionale.

Mettendo in moto pensieri che consolidano questa visione, ci inoltreremo in un circolo dal quale sarà difficile uscire.

Ma come in ogni cosa, anche lo stile esplicativo pessimista ha il retro della sua medaglia ed è la sindrome di Pollyanna.

Con questa definizione ci si riferisce a quelle persone che (Pollyanna è un personaggio creato da Eleanor Porter) usando una visione unicamente positiva, perdono la capacità di essere obbiettivi e vedono, con conseguenze a volte complesse e pericolose, solo il meglio in tutto ciò che accade e in tutte le persone che incontrano.

Anche l'ottimismo, per quanto ci possa sembrare prezioso, deve essere realistico, permettere di muoversi nel contesto sociale con equilibrio e funzionalità.

Non può essere uno strumento per oscurare e non vedere aspetti negativi (il buono assoluto esiste solo nelle fiabe) regredendo a una forma di pensiero ingenua e fantastica inappropriata per un adulto.

Come in ogni altra situazione la «cosa» giusta sta a metà.

Occorre saper riconoscere ed arginare una percezione negativa di ciò che accade, ma anche controllare la convinzione che tutto vada sempre bene, per viaggiare in un mondo fatto di cose buone e di cose pessime.