La decisione di cambiare il nostro aspetto fisico è solo nostra.
Possiamo piacerci o non piacerci, desiderare di avere un aspetto diverso oppure di valorizzarci così come siamo.
Tuttavia possiamo incorrere in relazioni che rendono difficile il prendersi cura di noi senza il giudizio esterno e senza la sensazione di non essere capaci di fare la scelta giusta.
Per molti relazionarsi rappresenta una fatica quotidiana, benché siamo «animali sociali» e viviamo di relazioni: con gli amici, con i conoscenti, con i colleghi, con i genitori degli amici dei nostri figli, con i figli stessi, con il partner, con la cassiera del supermercato che incrociamo più spesso di altre, con il dentista e perfino con chi ci taglia la strada.
Quando i rapporti sono superficiali, occasionali, minimi e le regole prevedono che ci possa ritirare dalla relazione, l'equazione potrebbe essere: tu non mi piaci, mi deludi, mi ferisci = io mi allontano da te.
Una strategia valida che a volte non è possibile o facile mettere in atto e usare.
Pensiamo alle relazioni obbligate con i colleghi, con i superiori, con il compagno, con i figli, con i suoceri, invadenti, giudicanti, inopportuni, sfacciati, arroganti, a cui non possiamo sottrarci.
Di fronte all'impossibilità di ritirarsi, diamo vita a una delle più frequenti illusioni: lui, lei, loro cambieranno.
E così mentre si attende che il miracolo avvenga che il capo ufficio ci dica: bravo, che il marito ci riempia di attenzioni, che la figlia si ricordi del nostro compleanno, stiamo fermi, in attesa che gli altri facciano quello che sentiamo e crediamo, essere meglio per noi.
Le attese, come sappiamo, logorano. Il tempo si ferma, ristagna, le aspettative creano ingorghi mentali e ci ritroviamo a dover colmare tempo e spazio. Mangiare un biscotto, portarsi alla bocca una caramella, non resistere al secondo, terzo, cioccolatino, può aiutare ad aspettare.
Può farci sentire meglio, meno soli, più forti, persino più sicuri, perché ci offrono una consolazione fittizia, ma che in quel momento è l'unica che abbiamo.
Tuttavia se ci sentiamo nella condizione di aver SEMPRE bisogno del consenso degli altri o del loro giudizio positivo per non sentirci sottomessi, dipendenti, condizionati allora è bene chiedersi:
Come e quando è iniziato tutto questo?
Cosa succede in me quando l'altro mi delude?
Cosa provo?
Quali paure attiva?
Come o cosa posso fare per accettare critiche e giudizi specie se non richiesti?
Sperare che gli altri ci amino incondizionatamente, quando noi primi non ci riconosciamo il diritto di essere amati, significa consegnare a loro il controllo della nostra vita.
Il cibo allora diventa il surrogato di quello che vorremmo essere e non siamo, di quello che gli altri dovrebbero darci e non ci danno, ma anche una modalità rapida e meno dolorosa di altre, di mettere a tacere disagi, confitti e bisogni, che varrebbero la pena di essere ascoltati.
Ci sono però modi per ascoltarci e farci ascoltare, per trasformare la solitudine in risorsa, per sostituire l'oggetto della consolazione... per imparare ad amarci.
Vuoi approfondire l'argomento? Ti suggerisco un libro interessante: Smetti di mangiare le tue emozioni.